Si tratta di una modalità spesso adottata con leggerezza, ma ci possono essere aspetti legali da tenere in considerazione.
A stabilire se tale condotta sia lecita o meno, è lo stesso codice della privacy che, in un articolo apposito, disciplina proprio tale ipotesi. La norma stabilisce che l’utente ha l’obbligo di informare l’altro utente quando, nel corso della conversazione telefonica, sia utilizzato un dispositivo – come appunto il “vivavoce” – che consente l’ascolto della conversazione stessa da parte di altri soggetti. La semplice “informazione” consentirà all’altro interlocutore di scegliere se proseguire la conversazione o interromperla. Il che, in buona sostanza, significa che è necessario sempre il consenso di tutti i soggetti per la divulgazione dei contenuti della telefonata. Per la precisione, questa disposizione sembra riferirsi solo al caso di comunicazioni lavorative e pare non essere obbligatoria nelle comunicazioni tra privati.
In altri precedenti, la Cassazione ha affermato che rientra nella facoltà di ciascuno degli interlocutori di informare altri di quanto sia venuto a conoscenza nel corso della chiamata; ma la possibilità di vedere diffuse a terzi le proprie comunicazioni rientra nel rischio di ogni dialogo, insito in qualsiasi rapporto interpersonale, che può essere limitato solo dalla fiducia riposta nella persona con la quale si comunica. Dunque, chiunque utilizzi apparecchiature come il “vivavoce” e consenta a terzi di ascoltare le proprie conversazioni, viola certamente il codice della privacy, ma non commette reato e non è passibile di denuncia. Ma è sempre meglio evitare fraintendimenti.
Ma se volete contattarci, anche in vivavoce, potete farlo quando volete!